Buongiorno miei cari lettori.
Spesso si dice “Quello che fa in privato non sono affari miei” ma quello che succede nel privato per molte persone, che siano etero, omosessuali o transgender, è un vero incubo.
È ciò che ha dovuto subire Cristina, 26enne transessuale, arrivata dal Perù a Milano un paio d’anni fa.
“Dopo poche settimane che vivevamo insieme ha iniziato a trattarmi male, mi urlava contro, mi insultava perché ero trans. Finchè è arrivato a picchiarmi e li ho avuto veramente paura. Ogni volta lui mi chiedeva scusa, diceva che non l’avrebbe più fatto e quando lo buttavo fuori casa mi perseguitava. Una mia collega italiana che aveva capito cosa mi stava succedendo ha chiamato, circa un anno fa, il numero 1522 che mi ha indirizzata allo sportello Iris. Mi sono trovata bene con le operatrici perché sentivo di non essere giudicata e potevo parlare la mia lingua grazie ad una traduttrice. Non ho raccontato a nessuno quello che mi stava accadendo perché non sono vere amiche, avrebbero solo sparlato di me, e mia mamma non voglio che si preoccupi, sono qui in Italia per aiutare lei e i miei cinque fratelli”.
Chiara Sainaghi, responsabile dei centri antiviolenza e case rifugio di Fondazione Somaschi, è riuscita insieme a Fondazione Lila ad aprire lo sportello Iris con un obiettivo ben preciso:
“Abbiamo deciso di seguire questa strada dopo alcuni episodi che ci è capitato di osservare. Ovviamente di per sé non servirebbe uno spazio differenziato e separato dagli altri centri antiviolenza, ma vogliamo che risulti chiaro ai membri della comunità Lgbt+ che c’è un luogo a cui si possono rivolgere. In passato ci è capitato di ricevere telefonate da parte di uomini in relazioni omosessuali a cui era stato negato un colloquio in altri sportelli”.
Abbiate il coraggio di chiedere aiuto, di denunciare le violenze, ci saranno sempre persone disposte ad aiutarvi e a prendersi cura di voi.
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